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Teatro Verdi. A Salerno la cattedrale della Settima Arte

Il maestoso edificio dell’attuale piazza Matteo Luciani fu la grande risposta laica di una città che usciva dalle spire del Settecento e si godeva l’aria nuova dell’Unità d’Italia



Di Luca Parisi


Scandalo, corruzione, offesa al buon costume… C’è sempre stato uno strano rapporto tra il teatro e la città, a Salerno. Nel Settecento l’idea stessa di una sala dedicata alla settima arte inorridiva la Chiesa e molti suoi sodali, legati ad antichi integralismi. Due secoli dopo la splendida città di Ippocrate si era ripresa ciò che meritava, realizzando uno dei più bei teatri d’Italia: il Municipale, una struttura lignea con quattro ordini di palchi e un loggione da far impallidire le capitali del teatro di mezza Europa. Dentro, in mezzo ai due estremi, una storia lunga, meravigliosa, controversa di sale che nascevano e scomparivano. Che si chiamavano Sant’Agostino, San Gioacchino, San Matteo, che portavano opere liriche, ma anche commedie e tragedie nelle stanze silenti di antichi monasteri, conventi, chiese sconsacrate, per poi essere costrette a chiudere di nuovo, lasciando che quegli spazi prestati alla cultura ritornassero ad essere luoghi sacri adibiti solo ed esclusivamente a funzioni religiose. Risucchiate, insomma, in quella dimensione forzatamente spirituale che le aveva bandite, rifiutate, censurate come inferni di perdizione.

Il Municipale no. Il maestoso edificio dell’attuale piazza Matteo Luciani fu la grande risposta laica di una città che usciva dalle spire oscurantiste del Settecento e si godeva l’aria nuova dell’Unità d’Italia come fosse una festa. E in ogni festa che si rispetti c’è sempre un grande odeon: Il Verdi, appunto. La storia comincia nel 1845. Proprio all’indomani della chiusura dell’unico tempio della città dedicato alla musica e allo spettacolo: il San Matteo, la sala intitolata al santo patrono della città (inizialmente si chiamava San Gioac­chino) e realizzata nei locali del soppresso complesso conventuale degli Olivetani. Fu Murat a volerlo, quel teatro.

Ma il sogno durò poco meno di trent’anni. Poi a Salerno si ritornò a recitare e a fare musica nelle case private o nei baracconi lungo il litorale.

Nei terranei improvvisati de La Flora, dal Pacini, dell'Irno. L’idea, o meglio l’esigenza di un “Massimo” rispuntò a cavallo della creazione del Regno d’Italia, e fu il neo sindaco Matteo Luciani a volerla con tutte le sue forze. Un liberale visionario che sognava una grande Villa Comunale ad un passo dal mare e un teatro che rappresentasse il punto d’arrivo d’ogni passeggiata serale. Come se tutti dovessero arrivare lì, nel cuore della bellezza, dello spettacolo, della cultura.

I lavori cominciarono nella primavera del 1864, ma il teatro aprì ufficialmente dodici anni dopo, il 15 aprile del 1872. In scena Rigoletto di Giuseppe Verdi, il compositore parmigiano cui trent’anni dopo verrà intitolato il Municipale. Un edificio che richiama lo schema neoclassico del Teatro alla Scala di Milano e del San Carlo di Napoli e che rappresenta oggi uno dei più begli esempi di teatro all’italiana su pianta ovale, con 71 palchi divisi in quattro ordini e una galleria, per un totale di 610 posti a sedere. All’inizio il progetto risultò così impegnativo e maestoso che il teatro rimase quasi sempre chiuso. Per pudore, o forse per banalissima incapacità di riempirlo dei contenuti che meritava. I salernitani ci scherzarono un po’ – è un’opera forse eccedente i bisogni angusti del popolo, dissero non senza un pizzico di ironia – poi si innamorarono di quell’edificio e cominciarono a viverselo nel modo giusto. Il resto è una storia veloce di successi e soddisfazioni. Dal 2007 il Verdi è diretto da Daniel Oren e si è affermato nel panorama lirico nazionale come teatro di eccellenza. Dal 2013 è stato inserito tra i teatri italiani di tradizione.


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