Regia, scene, luci e costumi di Theodoros Terzopoulos. Al Teatro Bellini di Napoli dal 24 febbraio al 5 marzo
di Antonio Tedesco
Beckett ritornò più volte sul testo di Aspettando Godot, specie in occasione degli allestimenti che si susseguirono in vari paesi, non solo europei. Puntava principalmente ad ottenere una resa scenica efficace adattando a questo scopo la sua scrittura. Aggiustamenti e modifiche sono stati annotati e scrupolosamente documentati nei suoi Quaderni di regia, ora pubblicati anche in Italia dall’editore CUEPRESS. Un testo, dunque, che l’autore stesso ha considerato per lungo tempo in divenire. E che, come si sa, è sostanzialmente una partitura di gesti e parole tessuta sul vuoto di una condizione umana colta nella sua estrema nudità. Strutturata su un principio di essenzialità, la pièce richiede per contro una rigorosa precisione esecutiva. Che lo stesso autore esigeva, e non solo negli allestimenti da lui curati. Ma una volta consolidatosi come classico contemporaneo Aspettando Godot, si è ritrovata ad essere più flessibile, prestandosi a più libere e soggettive interpretazioni. Confermandosi comunque in grado di spiazzare e azionare la sua sottesa carica perturbante. Elemento, quest’ultimo, che si fa predominante nell’allestimento realizzato da Thedoros Terzopoulos per lo spettacolo prodotto da Emilia Romagna Teatro e Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini, in scena presso lo stesso Teatro Bellini fino al 5 marzo. In linea con la sua visione e tradendo, in parte, lo spirito e le indicazioni di Beckett, il regista greco cala l’impianto drammaturgico in una atmosfera di doloroso disagio umano ed esistenziale. Se lo scrittore irlandese sfuma il tragico nel grottesco e nell’assurdo, non per alleviarne la portata, ma per sottolineare la sua drammatica impossibilità, Terzopoulos, dal canto suo, sceglie di mostrare tutta la sofferenza e il dolore che Beckett aveva lasciato sotto traccia. Più che vagabondi o sopravvissuti i personaggi di questo spettacolo assomigliano a zombie. Morti redivivi che non a caso brandiscono in più occasioni grossi coltelli e hanno abiti, volti e mani macchiati di sangue. Come fosse un Beckett ripassato per Romero. Un Aspettando Godot che scivola verso La notte dei morti viventi. Un tragico che vira nell’horror. Scelta sottolineata anche dalla particolare gestualità degli attori. Con i corpi di Vladimiro ed Estragone in continuo contatto fisico. Quasi a fondersi in un unico organismo bicefalo. Mentre Pozzo e Lucky sono presenze inquietanti nella loro rassegnata fissità, che si rompe solo per pochi istanti e solo per rappresentare un residuo di umanità scosso, nel caso di Lucky, da una gestualità compulsiva e convulsa, ripetitiva e ossessiva.
Oltre che per una lettura “tragica” dell’opera Terzopoulos opta per una sua rappresentazione fortemente estetizzante. Quasi un’installazione, formata da un cubo al centro della scena all’interno del quale gli attori si muovono in spazi molto ristretti, regolati da pannelli mobili che si aprono e chiudono su quegli stessi spazi disponendosi più volte in forma di croce. Un contesto claustrofobico dal quale si può uscire solo con gran fatica e strisciando dolorosamente, come fa Lucky quando si spinge fino al famoso albero che Beckett aveva previsto come uno dei pochissimi elementi scenici e che in questo allestimento si riduce ad un simbolico bonsai. Terzopoulos fa del suo Godot un’opera complessa, ricca di segni, che si presta ad innumerevoli interpretazioni. Interamente calata in un contesto sonoro e visivo (le musiche di Panayiotis Velianitis e luci dello stesso regista) in grado di suscitare molteplici suggestioni. E dove spicca, con una certa evidenza, il suo marchio di autore. Il risultato è uno spettacolo “concettuale” al quale conviene abbandonarsi senza preconcetti, lasciandosi assorbire dalle suggestioni che sprigiona e dalla notevole prova attoriale di Stefano Randisi ed Enzo Vetrano nei ruoli di Vladimiro ed Estragone, ma anche di Paolo Musio (Pozzo) Giulio Germano Cervi (Lucky) e Rocco Ancarola (il ragazzo), che offrono, oltretutto, una pratica dimostrazione sull’efficacia del “metodo” di training per attori che lo stesso Terzopoulos ha elaborato e diffuso.
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