In scena da 12mila giorni, e c’è ancora chi rischia di perdersela una magia così. Trentacinque anni e Phantom, il geniale musicista sfigurato, è ancora lì a terrorizzare artisti e tecnici solo per dichiarare una notte, una notte ancora, il suo amore per Christine
di Guglielmo (Liam) Ferretti
New York è una notte a chiedersi come si fa a viversela tutta, una città così.
Una settimana, un mese, dalle High Line al moMa, e poi basta un tipo nero nero che soffia un po’ di italiano oltre il vetro pasticciato di un taxi giallo e una parolina comincia a saltellare nel vuoto. Zompetta nell’abitacolo di uno Yellow Cab preso un po’ per gioco, magari solo per attraversare l’East River sulla passerella più famosa del globo. Sfrecci sul Ponte di Brooklyn, sei a bordo di una leggendaria vettura (Step 87, 100 cose da fare a New York) e quello alla guida dice “fantasma”. Anzi, dice: “Beh, non può tornare in Italia senza aver visto IL fantasma”. Ed è così che cambia per sempre la tua vacanza. Mancava un fantasma. È così che alla fine capisci che puoi chiuderla in un solo modo la tua vista alla Grande Mela. Veloce, cinematografica, definitiva. “Ha ragione, mi porti al 245 West 44th Street di Manhattan. E vediamo di recuperare”. Roar. Verso l’unico spettro serio di Gotham City.
New York è una notte a pensare che non si può tornarsene a Napoli senza aver visto Il fantasma dell’Opera a Broadway, al Majestic Theatre. Trentacinque anni e Phantom, il geniale musicista dal volto sfigurato che vive nei sotterranei, è ancora lì a terrorizzare artisti e tecnici solo per dichiarare, una notte, una notte ancora, il suo amore per Christine.
Che robe. Uno spettacolo, in scena da 12mila giorni, e c’è ancora chi rischia di perdersela per sempre, una magia così.
Il gioco comincia, neanche tanto per caso, agli inizi di febbraio del 1984.
La leggenda racconta di una mattina storta, di pioggia, di un tipo immerso in una vasca da bagno calda, di fumi e candele aromatiche a stemperare la noia, dietro l’angolo.
Il tipo è Cameron Mackintosh, produttore, impresario teatrale londinese. L’uomo, per intenderci, che si era inventato Cats, e ci aveva costruito un impero. Ecco. Febbraio, Londra, pioggia, gatti, noia, vasca da bagno, telefono che suona. È Andrew Lloyd Webber. Compositore britannico. L’uomo, per intenderci, che di Cats aveva scritto le musiche. E che prima aveva scritto anche la partitura di Jesus Christ Superstar. Vagonate di applausi e sterline. Di repliche e conti correnti a nove zeri.
Facciamo Leroux. Chi è Leroux? Lascia perdere. Facciamolo e basta.
E comincia la leggenda.
In una vasca da bagno.
Due artisti stravaganti e fortunati trasformano il romanzo del creatore di Rouletabille (lo scrittore francese Gaston Leroux) in un musical eterno che sarà visto da 145 milioni di persone in 183 città di tutto il mondo.
Nasce così The Phantom of the Opera, uno degli spettacoli più famosi di tutti i tempi, che oltre i tour, per trentacinque anni esatti va in scena ininterrottamente tra le 1600 poltrone rosse del Majestic di Broadway. L’ennesimo teatro per sempre. Come il San Martin con Trappola per topi e il Fortune con The Woman in Black in Inghilterra (dei quali abbiamo parlato nei numeri scorsi di Proscenio).
Una sala mitica, uno spettacolo leggendario, una storia tutta da raccontare. Mackintosh e Webber si fanno la loro telefonata nel febbraio del 1984, due anni dopo il Fantasma debutta all’Her Majesty's Theatre di Londra, poi vola in America. È il 26 gennaio 1988. A Broadway, dopo Grease, fanno la fila per vedere le disavventure di Christine Daae. Ha grandi doti canore, la ragazza. Ma tutto quello che è riuscita ad ottenere nella vita è un posto come ballerina di fila al Teatro dell'Opera. Vecchia storia. Il pubblico è solidale. Si dispiace, fa il tifo. Per le vite che girano storte. Ma la ragazza, non è come noi. Sfigata fino in fondo. Dalla sua parte si schiera un misterioso angelo della musica. Un compositore sfigurato che vive nei sotterranei del teatro e che spaventa con ogni mezzo cantanti e ballerini della compagnia. Potrebbe finire così. Ma la ragazza è irriconoscente. Si lega sentimentalmente a un visconte e comincia la tragedia. Anche questa, vecchia, come storia. Ma quel sentimento complesso, difficile, impossibile fa impazzire gli americani e la vicenda tra Phantom e Christine non si ferma più. Almeno in termini di successo. Altro che Cats e Jesus Christ Superstar. Per il Fantasma i proprietari del Majesty saranno costretti ad aumentare il numero di posti in sala. Tutto esaurito ogni sera, 7 Tony Awards, 7 Drama Desk Awards e lo Show più popolare dell'anno per un numero imprecisato di anni. In scena un’orchestra dal vivo di 27 elementi e un cast artistico di 33 persone tra attori/cantanti/ballerini, più le riserve, più tutto il personale tecnico necessario e ovviamente quello di sala. Un kolossal fermato solo dalla pandemia, che ora, a febbraio, forse ad aprile, chiude i battenti. Ennesima vittima del coronavirus. Forse la più famosa di questa pandemia che ha messo tutti in ginocchio. Toccherà andarselo a vedere a Londra, nel West End, nel teatro che lo ospita dal 1986 e dove il fenomeno non si è mai fermato, o in Australia, in Cina, addirittura. O magari aspettare Antonio Banderas che ha comprato i diritti e vuole rilanciarlo in spagnolo. Forse in un solo teatro. Perché The Phantom è e rimarrà uno spettacolo da “un solo teatro”. Per sempre.
“Impara, Christine, che sono fatto interamente di morte, dalla testa ai piedi, che è un cadavere quello che ti ama, ti adora e non ti lascerà mai, mai più”. Tuo, per sempre, Phantom.
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