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Teatro de la Huchette. Sulla Rive Gauche nel teatro più piccolo di Parigi si replica da settant’anni

La cantatrice chauve. Che roba. E pensare che li avevano cacciati via, e loro erano scappati dal teatro perché, cavolo, veramente non si capisce niente. Il salotto degli Smith, la tipica famiglia borghese, le parole che passano inutili e incomprensibili. E, intorno, spettatori spiazzati, persi e poi rapiti, risucchiati nel vortice di un tempo che non passa mai…



di Guglielmo (Liam) Ferretti


Le lessero una sera di primavera, in un caffè di boulevard Saint-Michel, mentre il vino andava via che sembrava il tempo quando non hai tempo. Parigi, un pugno d’attori squattrinato, un regista matto, un testo scritto con una macchina da scrivere sgangherata. Le risate, i sogni, l’amicizia, il teatro. Quelle pagine erano tavole e sangue. Palcoscenico e quinte che puzzano di sudore. La cantatrice chauve, di uno più matto di loro. Eugène Ionesco. L’ “anarchico di destra” che oltre alla drammaturgia avrebbe cambiato anche il concetto di Rivoluzione. Dopo. Ma prima, uno come tanti. Uno che voleva farlo e basta. Il teatro. E allora ricominciamo. 1950. Un caffè di notte, Parigi che esce dalla guerra, Nicolas Bataille che beve cognac e legge ad alta voce, un gruppo di attori che lo ascolta, un altro po’ di persone che si chiede chi è Nicolas Bataille, e soprattutto che razza di testo sia quello. La cantatrice calva. Trama: Una coppia che dopo vent'anni di matrimonio non ha più niente da dirsi passa la serata a parlare con un’altra coppia che dopo vent’anni non ha più niente da dirsi. Che si dicono? Niente. Punto. Questa è La cantatrice calva. Questo è l’inizio di una storia infinita e meravigliosa che parte a Saint-Michel e finisce a rue de la Huchette. Da un bar del quartiere latino al teatro più piccolo della Rive Gauche. Da un pugno di fogli stropicciati ai prodromi dell’anticommedia. Dentro la placenta del Teatro dell’Assurdo. Nel blob dell’esistenzialismo. Nell’ansia di Sartre e Camus. Dentro la testa di Eugen Dimitri Ionescu da Slatina, nel cuore della Romania,tra vampiri e castelli impossibili.

La lessero una sera di primavera, quella commedia. E da allora rincorsero il sogno improbabile di farla per qualcuno, per chiunque avesse voglia ancora di capirci qualcosa.

Il matto numero uno era Bataille. 25 anni e faceva già il regista. Fu lui a dire per primo “facciamola”. Si era innamorato di quel testo senza trama, senza intreccio, con personaggi sfumati e intercambiabili e ne aveva parlato a Ionesco. Il matto numero due. Quello che gli sarebbe bastato un pizzico di entusiasmo per buttarsi nel fuoco. Cazzo, qualcuno ha letto il mio testo. E non si è fermato più. Aveva un amico, Eugène. Uno che dirigeva un teatro in rue Champollion. Théâtre des Noctambules, così si chiamava. Facciamola, disse Eugène all’amico. Ti va? Hai tre ore di tempo. Rispose l’amico.Cominci alle 6 di sera e per le 21 ve ne dovete andare. Ok. Ok.

Il 10 maggio 1950, il giorno della prima,ai Nottambuli ci sono si e no venti persone. Ma la gente ride, qualcuno applaude pure. Bataille e Ionèsco si entusiasmano. E’ fatta? Ma per l’amor di dio. Li cacciano via nel giro di qualche settimana. Venticinque repliche ed è chiaro che la Rive Gauche non è pronta per Ionesco. Figurarsi il resto del mondo. Ma c’è un matto numero tre, in questa storia strampalata. Si chiama Marcel Pinard e dirige una sala da 80 posti al Panthéon, nel 5° Arrondissement della capitale francese. Teatrino figo con Camus, Breton e Queneau che mangiano pop corn nel chiarore del Dopoguerra. Magari non è vero, ma il Teatro de la Huchette è pronto per Ionesco. O meglio, il terzo matto dice al secondo matto che ha tre mesi liberi, senza programmazione e che, se vuole… Vuole, vuole, Eugène Ionesco. La cantatrice calva arriva sulla Rive Gauche il 7 ottobre 1952 e da quel momento non se ne va più. Eccolo, il nostro quarto “spettacolo per sempre”. Dopo The Woman in Black e The Mouse Trap a Londra e dopo Il fantasma dell’Opera a Broadway (di cui abbiamo parlato nei precedenti numeri di Proscenio), La cantatrice chauve e La leçon (perché, nel frattempo, Ionesco aggiunse al suo progetto anche un secondo testo) detengono il record mondiale per lo spettacolo che si è svolto ininterrottamente nello stesso luogo per settant’anni.

Che roba. E pensare che li avevano cacciati via, li avevano insultati, erano scappati dal teatro perché, cavolo, veramente non si capisce niente. Il salotto degli Smith, la tipica famiglia borghese, le parole che passano inutili, inconcludenti, incomprensibili. E, intorno, ottanta spettatori spiazzati, persi e poi a mano a mano rapiti, affascinati, risucchiati nel vortice del nulla, di un tempo che non passa mai e pesa sulla nostra incapacità di amare, vivere, essere felici. Il Teatro de la Huchette è la zattera di ogni vuoto, lo spazio per salvarsi. Ottanta poltrone rosse dove da quattordici lustri si fa la fila per vedere il Ionesco Show, come lo chiamano da quelle parti. Quasi ventimila repliche, e quando morì Pinard qualcuno tentò di fermare la giostra. Ci pensarono gli attori della compagnia ad evitare che il teatro chiudesse e che La cantatrice calva smettesse di fare quello che faceva, o non faceva, tanto cambia poco.

Oggi lo “spettacolo per sempre” che va in scena a Parigi è tre spettacoli insieme. C’è La cantatrice, dal 1957 aggiunsero La leçon, da un po’ c’è un terzo testo di Ionesco che ruota periodicamente. Per non fermarsi più, ovviamente. Per non smettere di credere che Il Teatro dell’Assurdo debba avere una casa e continuare a raccontare il vuoto delle nostre esistenze, in una casa che vuota non sarà mai. Il teatro. Naturalmente.


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