L’artista che non smise mai di essere donna
Andrea Jelardi
L’impegno, il femminismo, l’avanguardia, la politica. Sono state queste solo alcune pietre miliari del percorso di Franca Rame, un’attrice che ci ha lasciato dieci anni fa dopo aver segnato, come poche, la storia dello spettacolo e al tempo stesso quella d’Italia, rinnovando infatti non soltanto il teatro e la tv, ma anche la morale e i costumi degli italiani.
Donna nata artista, e artista che non smise mai di essere donna, vede la luce nel 1929 in una famiglia lombarda di antichissima tradizione teatrale, iniziata dal Seicento con gli avi burattinai e marionettisti fino ad arrivare ai genitori e alla loro compagnia girovaga, dove il padre Domenico dirige la recitazione a soggetto e la madre Emilia e le donne si occupano di scene e costumi.
Debuttando ancora bambina, Franca si nutre quindi dell’anima del teatro e impara a recitare interpretando le situazioni prima ancora del testo finché, adolescente, viene scritturata in affermate compagnie come quella di Tino Scotti, la Nava-Parenti e la Billi e Riva esordendo infine al cinema in varie pellicole girate dal 1951 in poi.
Il luogo del cuore resta però sempre il palcoscenico dove conosce Dario Fo, drammaturgo con lo spirito del guitto che sposa nel 1954 e con cui tre anni dopo fonda la Compagnia Fo-Rame nella quale lei - ricalcando lo schema di quella familiare - cura gli aspetti pratici, mentre lui si occupa dei testi e della regia.
La rapida scalata verso il successo inizia dal debutto al Piccolo Teatro di Milano fino alla Rai e, nel 1962, alla conduzione di Canzonissima. Attori irriverenti, scaltri e controcorrente, portano però nel popolarissimo show alcuni sketch satirici su temi poco graditi alla politica, che impone dunque la loro sostituzione nonché l’estromissione dalla tv destinata a durare quasi sedici anni.
L’episodio, tuttavia, segna un punto di svolta con nuovi stimoli al teatro da loro stessi definito “d’inchiesta e di cronaca” ma pure grottesco, surreale e paradossale che tratta temi serissimi con farse e commedie; sfidando le censure e i compromessi, finiscono però col rompere i rapporti dapprima con l’Eti - Ente Teatrale Italiano e poi persino con il Partito Comunista benché - con il collettivo teatrale indipendente Nuova Scena e poi con La Comune - avessero scelto come inusuale palcoscenico le case del popolo, le fabbriche, i circoli e le piazze.
Sono gli anni di spettacoli passati alla storia, come Grande pantomima con bandiere e pupazzi piccoli e medi (1968), L’operaio conosce 300 parole, il padrone 1000, per questo lui è il padrone (1969), Legami pure che tanto io spacco tutto lo stesso e Mistero buffo (1969).
Di questo teatro ribelle, sincero e senza indulgenze politiche, Franca è l’anima, ma va oltre: intensifica infatti il suo attivismo nelle organizzazioni femministe anche scrivendo celebri monologhi e fondando poi nel 1970 Soccorso Rosso, movimento in favore di studenti e operai arrestati durante le lotte e le manifestazioni.
Tre anni dopo - quando viene rapita, seviziata e violentata da cinque uomini dell’area di estrema destra - sale agli onori delle cronache poiché coraggiosamente sceglie di rievocare il doloroso episodio - che sarà definito uno “stupro di Stato” - in un durissimo testo per l’opera teatrale Tutta casa, letto e chiesa scritta con il marito nel 1977 e poi recitato in diretta durante lo show della Rai, Fantastico 1987.
Il teatro dei Fo, insomma, irrompe puntuale e con forza in ogni momento chiave della storia italiana: il Sessantotto, gli anni di piombo, le stragi, Tangentopoli e il berlusconismo fino a un irriverente excursus con lo spettacolo Sesso? Grazie, tanto per gradire! (1994) tratto dal libro del figlio Jacopo Lo zen e l’arte di scopare.
A interrompere le attività di Franca - compreso un biennio da Senatrice con l’Italia dei Valori - sopraggiunge un ictus nel 2012 e poi la morte il 29 maggio 2013.
Sono trascorsi dieci anni, ma resta vivissimo il valore della sua lunga e multiforme opera che portò Dario Fo - insignito del Premio Nobel 1997 - a dire: “L’ho vinto insieme a questa Signora. Senza di lei non l’avrei mai guadagnato”.
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