Il ricordo dell’uomo e dell’artista. Tra gli innovatori della drammaturgia teatrale napoletana degli anni Ottanta assieme a Ruccello e a Moscato
di Antonio Tedesco
Se ne è andato il giorno di Natale, come a rimarcare fino all’ultimo quella malinconia esistenziale che da tempo lo affliggeva. Francesco Silvestri era nato a Napoli il 16 aprile del 1958 ed è morto a Pozzuoli il 25 dicembre del 2022. A partire dagli anni Ottanta è stato uno dei grandi innovatori della drammaturgia teatrale napoletana. Insieme ad Enzo Moscato e Annibale Ruccello, con i quali aveva creato un sodalizio di scambi e collaborazioni. Con Annibale già nel 1980, aveva interpretato Le cinque rose di Jennifer, che debuttava proprio in quell’anno. Spettacolo che avrebbe ripreso nel ruolo del protagonista dopo la prematura scomparsa di Ruccello, interpretandone anche una riduzione cinematografica firmata da Tomaso Sherman. Sostituirà l’amico scomparso anche nel ruolo di Don Catellino in Ferdinando. Ciò che faceva la differenza tra loro tre e altri autori che pur seguivano la stessa linea di rinnovamento drammaturgico, come Manlio Santanelli o, più tardi, Franco Autiero, era il fatto che il loro percorso artistico prevedeva il “ciclo” completo di autore, regista e attore. Tutti e tre hanno condiviso gli ostacoli degli inizi, le difficoltà a farsi accettare in un contesto teatrale ancora molto legato alla tradizione. Mossi da intenti comuni pur senza mai riconoscersi in un “movimento”, lasciarono alla critica l’onere di definire ciò che li accomunava con l’appellativo di Nuova Drammaturgia, classificazione che i diretti interessati, peraltro, non hanno mai fatto propria. Condividevano, però, il piacere per la scrittura e la necessità che questa prendesse vita su un palcoscenico. Dei tre, Francesco Silvestri è stato quello più introspettivo. Riversava molto di sé nei suoi personaggi, osservando attraverso di loro, i propri disagi, gli interrogativi senza risposta, le proprie angosce. Gli anni Ottanta e Novanta sono stati per lui molto prolifici e produttivi. Affinando ulteriormente una sensibilità maturata nelle esperienze giovanili dei laboratori teatrali con detenuti e bambini diversamente abili, scrive testi per il Teatro Ragazzi (Alì, Il topolino Crick, La guerra di Martin). Nel 1989 con Saro e la rosa vince il premio IDI (Istituto del Dramma Italiano), nella sezione Under 35. Lo stesso IDI gli attribuisce un nuovo premio l’anno successivo per Angeli all’inferno, che fu poi messo in scena con la regia di Armando Pugliese e interpreti lo stesso Silvestri con Enzo Moscato e Isa Danieli. Mentre è del 1991 una segnalazione speciale per Streghe da marciapiede. Il lavoro drammaturgico prosegue negli anni Novanta con testi come Mio capitano, Storiacce, Fratellini. Quest’ultimo, in particolare, scritto nel 1996, viene tradotto e rappresentato anche in Francia e in una rassegna di teatro italiano a Montreal. Poi sul sopraggiungere degli anni Duemila, qualcosa lo ferma, un blocco. Vicende private, un disagio esistenziale, difficoltà sempre crescenti a mettere in scena i propri testi. A incanalare in forma di teatro i potenti flussi emotivi da cui era scosso. Un carattere fortemente sensibile, messo a dura prova da più fattori. Fermatosi come autore e regista, rimane pur sempre l’attore, valente e apprezzato. Prova a intraprendere la via dello scritturato. Produzioni importanti, con Teatri Uniti e la regia di Toni Servillo (Il misantropo di Molière, Le false confidenze di Marivaux), poi con Cerciello al Teatro Elicantropo (Stanza 101) e poi ancora con Servillo in Sabato, domenica e lunedì, di Eduardo, spettacolo per il quale Silvestri riceve il Premio UBU come miglior attore non protagonista. Ma non è bastato. Non si sentiva a suo agio. Non era il suo teatro. Preferì ritirarsi. Andò in Sicilia, a Modica, a fondare una scuola per insegnare il teatro ai ragazzi. Un modo per uscire di scena. In sintonia con il suo carattere di persona timida e schiva. Come titola con felice intuizione il libro che nel 2013 gli ha dedicato Vincenzo Albano, …E poi sono morto – La drammaturgia non postuma di Francesco Silvestri. In cui è pubblicato anche il testo, definito come una sorta di testamento artistico dell’autore, intitolato Piume, secondo classificato al premio Ater-Riccione nel 2001, ma mai messo in scena. Un testo complesso che tocca, forse, l’apice della ricerca intimista di Silvestri, una sorta di monologo interiore in forma drammaturgica nel cui titolo si racchiude tutta la sua poetica di uomo e di artista. Un desiderio di impalpabile leggerezza, un sentirsi postumi in vita (contraddicendo in parte il titolo del libro sopra citato). E forse davvero dopo questo non c’era altro da dire, non c’era altro da fare. Semplicemente, in silenzio, volare via.
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