Il drammaturgo argentino a Napoli con "Próximo". Un’istantanea dell’amore ai tempi del social
Di Gabriella Galbiati
È argentino, ma ha trovato in Italia una seconda casa. Proprio nel 2017 gli è stato conferito il Premio UBU per Emilia come Miglior nuovo testo straniero o scrittura drammaturgica. Sì, perché Claudio Tolcachir oltre ad essere attore e regista è anche autore, nominato in patria “Personalidad Destacada de la Cultura”. Durante la crisi economica di fine anni Novanta, creò lo spazio Timbre 4 con cui ancora oggi produce i suoi lavori. È del 2012 il volume Claudio Tolcachir/Timbre4. Una trilogia del living (Editoria&Spettacolo, traduzione R. Ruffini), la prima raccolta in traduzione italiana dei suoi tre drammi originali (L’omissione della famiglia Coleman, Terzo corpo – La storia di un intento assurdo, Il vento in un violino), dove lo spazio del soggiorno è un misuratore della temperatura di una società tumultuosa come quella argentina che ha conosciuto la dittatura, il crollo e la lenta ripresa. Molti suoi spettacoli, surreali e allo stesso tempo commoventi, sono andati in scena nei nostri teatri, anche con un cast nostrano, come nel 2011 per Edificio 3 al Piccolo di Milano.
A Napoli lo vedremo al Sannazaro dal 14 al 16 aprile con Próximo (Vicino). La pièce racconta di due ragazzi che vivono la loro storia d’amore in maniera appassionata, pur abitando a oltre 2000 km di distanza.
A poco a poco divengono l’uno per l’altro la persona più importante al mondo. Si amano senza potersi toccare, ma solo parlandosi e vedendosi attraverso lo schermo di un pc o di un cellulare. “L’opera racconta l’esperienza di essere fisicamente lontani da tutto”, spiega Tolcachir “e tuttavia di riuscire a vivere le esperienze più intese e significative per un essere umano: la nascita, la morte, l’amore, il sesso”.
Oltre che un’istantanea dell’amore ai tempi dei social, Próximo è un’opera intima che si interroga su quanto possiamo “essere vicini” a qualcuno che è lontano. Come per i protagonisti che riescono a costruire una loro intimità fatta di silenzi, sguardi mediati da uno schermo e soprattutto dal linguaggio.
La scena si svolge in un perfetto equilibrio tra comicità e dramma, che è ormai diventata la cifra distintiva del maestro argentino.
Tolcachir ci ha abituato a trattare in palcoscenico il difficile equilibrio dei rapporti tra gli individui in ambito amoroso, lavorativo, familiare o relativo a una semplice condivisione di spazi. Tra questi Edificio 3, dove in un ufficio troviamo tre impiegati circondati da scaffali pieni di oggetti che probabilmente non servono più, come la loro attività quotidiana. L’edificio è anche la casa di una giovane coppia, che parla d’amore e di scelte più o meno condivise.
Si racconta di tradimenti, equivoci, ambizioni, desideri e dell’infinita distanza che ci separa tutti. Allo stesso tempo, si rivela il baratro tra l’intima identità di ciascuno e il personaggio pubblico che interpretiamo. Come avviene in Dinamo (in prima al Napoli Teatro Festival del 2012), con i tre personaggi femminili che condividono il piccolo spazio di una roulotte e non riescono a comunicare tra loro, immersi nelle proprie preoccupazioni nel cercare di rimettere insieme i pezzi di un’esistenza lacerata.
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