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La critica teatrale. Quando per uno spettacolo ci si sfidava a duello

Carmelo Bene: “L’artista ha il dovere di creare un’opera, il pubblico ha il dovere di non capirla, il critico ha il dovere di riproporla”



Di Giuseppe Sollazzo


È il 14 ottobre 1912. In un angolo del Parco dei Principi a Parigi, due uomini col cappello si sfidano a duello. Si tratta di Pierre Eugène Veber, e Léon Blum. Il primo è un drammaturgo, il secondo un critico. I due avversari non sono personaggi di secondo piano nel mondo teatrale parigino di inizio secolo. Veber ha al suo attivo numerose commedie di successo. Léon Blum - secondo Jacques Copeau - “è il critico più in vista del suo tempo”, e destinato a diventare primo ministro di Francia.

L’antefatto. Sulle pagine di Le Matin, Léon Blum scrive un articolo sullo spettacolo Une loge pour Faust di Veber. L’autore non apprezza. Durante la prova in costume dello spettacolo al Théâtre des Arts, i due si incrociano. Volano parole grosse. Veber dà uno schiaffo a Léon Blum, questi lo sfida a duello.

Il mattino dopo, i duellanti, insieme ad un folto gruppo di spettatori sono pronti all’evento.


È questo un esempio abbastanza lampante della passione, dei furori e anche dell’importanza che un tempo circondava il mondo della critica teatrale.

Ma oggi? Potrebbe mai il pezzo più cattivo del mondo suscitare una reazione così fuori misura? Archiviata per sempre l’epoca delle sfide al fioretto, molti decenni dopo, cosa resta di questa dialettica sanguigna tra il mondo della scena e il mondo dei libri? Il critico deve essere un testimone o un giudice?

Chi scrive non vuole certo cogliere un pretesto per fare di questo pezzo una critica alla critica. Ma soltanto suscitare qualche riflessione. Consapevole che in fondo tutti possiamo esclamare come le streghe del Macbeth: il bello è brutto e il brutto è bello. E lasciando da parte la copiosa letteratura aforistica sui critici di teatro. Léon Bloy, uno a caso, afferma: “Il critico è colui che cerca un letto in un domicilio altrui”. Oppure, Ionesco: il critico è colui che percorre a ritroso il cammino oscuro fatto dall’artista, illuminandolo. Mentre per Carmelo Bene “l’artista ha il dovere di creare un’opera, il pubblico ha il dovere di non capirla, il critico ha il dovere di riproporla”. Ugo Volli, citando Oscar Wilde: “Ogni critica è un’autobiografia… nei casi felici (“i più elevati”) l’autobiografia si riferisce a un periodo di storia della cultura, a una classe, a una forma culturale; in altri (“i più infimi”) la questione verte sulle idiosincrasie personali, i capricci, magari le mafie e le corruttele”. (Quaderni di teatro, 1979).

Per Giovanni Raboni, “il critico, posto che sia capace, non prevenuto e non arrogante, sente come suo primo dovere quello di raccontare ciò che ha visto… chi ha visto e racconta è capace di usare allo stesso tempo il cannocchiale e il microscopio…” (Lo sguardo che racconta, Roma 2004).

Se Roberto de Monticelli ha parlato delle tre solitudini del critico (dalla redazione, dal mondo del teatro, dall’ambiente letterario), nessuno finora ha parlato dell’afasia dei registi, incapaci di riunirsi in un albo professionale. A guidare il destino del teatro è rimasta la politica, a volte il successo televisivo. Che - lo ricordiamo - non sempre fa rima con talento.


Oggi, a fronte della moltiplicazione dell’offerta - i teatri e i festival hanno cartelloni molto ricchi e articolati - lo spazio per le recensioni è diminuito notevolmente. Un tempo poteva capitare di trovare sulla stessa pagina, ben tre articoli di tre critici diversi. Adesso il teatro fa capolino sui giornali nazionali una volta alla settimana. A meno che non ci sia l’evento del divo o del genio autentico. E sempre più spesso accade che lo spettacolo stroncato dal grande critico incontri il favore entusiasta del pubblico. Oppure il contrario.

C’è da dire che il teatro corre più in fretta della critica. In tutti questi anni il teatro è uscito dai teatri ed è andato dovunque, coinvolgendo non professionisti, detenuti, diversamente abili, anziani e bambini. Il teatro rompe gli argini, rifiuta la priorità del testo e scompagina i generi.


Alla complessità del reale, la fabbrica del giudizio, che è la critica, risponde arroccandosi invece - il più delle volte - nell’esegesi del testo, oscillando tra giudizi di gusto e giudizi di valore. E i grandi critici per ragioni di spazio, di linea editoriale, o di mancanza di empatia, lasciano ai margini le esperienze che si producono ai margini, lontano dai grandi luoghi accreditati. Col risultato che la critica teatrale non è più il faro che orienta o educa il gusto degli spettatori. Non promuove talenti, non diffonde idee, ma distribuisce diagnosi, di fronte alle quali non resta che chiamare il prete per l’estrema unzione.

Intanto la marginalizzazione del teatro dalla vita sociale e dai giornali è sotto gli occhi di tutti. Per fortuna adesso non resta soltanto quella che Claudio Meldolesi definiva la “cultura tattile” del teatro (locandine, programmi di sala, foto di scena, articoli), ma grazie al web si sono moltiplicate recensioni e riviste teatrali, tutti posso essere critici per un giorno. Internet offre alla critica un grande vantaggio: la libertà economica, politica e formale.

C’è tutto un mondo giovane e arzillo che riempie la rete di articoli, moltiplicando punti di vista e scuole di pensiero. E contribuendo così a formare la memoria del futuro.


All’inizio della terza ripresa, i testimoni sospendono la sfida. Léon Blum colpisce al fianco Eugène Veber. Oltre ai padrini e a un medico, figure indispensabili per un duello che si rispetti, sono presenti giornalisti e curiosi. Numerosi i reportage sull’evento. (E grazie ad un anonimo filmmaker, oggi un frammento di quell’incontro è visibile su YouTube). Secondo L’Aurore, “M. Pierre Weber è stato colpito al fianco destro, ponendo fine al combattimento. La ferita era meno grave di quanto sembrasse all'inizio. La punta della spada era stata fermata dalla costola [di Weber], ma se fosse stata un centimetro più alta, avrebbe potuto essere fatale, perché avrebbe toccato il fegato. Gli avversari non si sono riconciliati”. E, nonostante tutto, “questo comunissimo evento che accade quotidianamente in tutti i teatri del mondo è forse la più strana, la più straordinaria avventura che capiti all’uomo”. (Ortega y Gasset)


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