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Cristina Donadio racconta "Strativari"

Parole che si infiammano, si gridano e si silenziano mentre le musiche di Capone & BungtBangt e dei Solis String Quartet dialogano tra loro con la “buatteria”, un violino e una scopa elettrica



Di Rita Felerico


Stefano Valanzuolo ha ideato uno spettacolo diverso rispetto ad altri che hanno come oggetto la nostra città” spiega l’attrice napoletana Cristina Donadio impegnata con Strativari in una tournèe che ad aprile, dal 19 al 21, passa per il Teatro Lendi di Sant’Arpino. “Parlare di Napoli è ‘una cosa complicata’, facilmente si cade negli stereotipi, nella nostalgia di quell’armonia perduta – ricordando Raffaele La Capria – o che non c’è mai stata pur credendo, tutti noi napoletani, di possederla. Stefano è stato bravo a discendere nei livelli che formano la città e appartengono ad essa, che sono la città; bravo nel rincorrere il senso profondo di quegli strati, fino a raggiungere un significato forte, direi archetipo. Anche per questo resta nel cuore e lascia toccati, colpiti”. Diretto da Raffaele Di Florio, l’allestimento, in Suite napoletana in otto quadri, si avvale della collaborazione delle band Solis String Quartet e Capone & BungtBangt. Contributo fondamentale che consente di compiere in scena un viaggio verso gli strati più profondi e nascosti di Napoli, esprimendosi attraverso un linguaggio di ritmi e armonie nate da un uso particolare della parola e della musica.

“I Solis String Quartet e la band Capone & BungtBangt” chiarisce la Donadio “hanno creato un range che li distingue, fatto di contaminazioni, di classicismo che dialoga con la contemporaneità, con un mondo di suoni e rumori musicali, spaziando da Bach a Mozart, da Prokof’ev a Viviani, anche con brani originali”.

E poi c’è la parola. Quella di grandi autori come Erri De Luca, Sandor Marai, Enzo Moscato, Pier Paolo Pasolini, Roberto Saviano e Raffaele Viviani.

E poi “ci sono io, che mi lascio trascinare dal suono di strumenti, mi confronto con loro, mi lascio andare e mi faccio travolgere dalle canzoni, dal rumore, dalla melodia, dalla parola e dalle suggestioni che i musicisti mi trasmettono in scena.

I testi scritti e suonati si incontrano, si accavallano, si scontrano e, come attrice, ho la sensazione e la voglia di farmi cullare da quella magia, e né io e né il pubblico sappiamo mai cosa stia per accadere”.

Cristina, questo suo stare sulla scena di Strativari assomiglia al rapporto che ha con Napoli, la sua città?

“Ogni giorno mi sorprendo. Non si sa cosa può succedere a Napoli, in quel suo mischiare nella sua luce di trasparenza e di sole i colori dell’acqua del mare, i verdi, gli azzurri, in quel suo cambiare bruscamente atmosfere. Non ci abitueremo mai al ritmo della nostra città e io che adoro essere sorpresa dalle cose non posso non amare Strativari, una continua sorpresa, un continuo andare in profondità diversamente, ogni volta che si è sulla scena”.

E la musica ha per lei un significato particolare?

“Lavoro giocando con essa, il teatro è musica, la parola è musica e quando si combinano, si armonizzano, è un regalo, un valore aggiunto alla loro bellezza. È bello chiedersi della contraddittorietà di Napoli con le parole che si infiammano e si sgretolano, si gridano e si silenziano mentre le ensemble di Capone & BungtBangt e dei Solis String Quartet, di formazione diversa, dialogano tra loro con la “buatteria” e il violino o la viola e lo “scatolophon”, la scopa elettrica e… il violoncello”.

Valanzuolo e Di Florio hanno colto questa alchimia che si lega all’essere della città…

“Infatti è così. Trovo sia il massimo della raffinatezza – per esempio – unire il Pulcinella di Stravinskij alla musica di Capone, tutto pensato per essere armonico nella sua disarmonia, dissonanze che sono nostre, che appartengono proprio alla cultura partenopea”.

Con Strativari sembra realizzarsi la magia del teatro?

“Sì, si percepisce quel sentire comune che unisce le persone, che unisce chi si esibisce e chi ascolta, come se prendesse forma quel ragionare comune che permette di riconoscersi. La città fatta a strati, che sovrappone i pensieri e gli spazi urbani, la memoria delle cose antiche e di ciò che accade, dove ogni cosa fin dalle sue profonde viscere lascia un segno, leggibile e sempre vivo, è pura e alchemica realtà che parla, mettendo insieme ricordo, passione, gioco, miseria, dolore, desiderio, devozione. Una realtà che si fa quasi naturalmente teatro”.

Cristina Donadio, voce/sirena di una Napoli che l’ha vista interprete del suo teatro tradizionale, con Moscato, De Angelis, Croccolo, attrice con la Cavani e Squitieri e poi vestire i panni della boss Scianel in Gomorra. La sua passione, ha detto più volte, resta comunque il teatro e l’autentico desiderio di generare teatro, attraverso il sentimento che da sempre anima la sua professionalità e il suo essere donna/attrice.


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